Archivio mensile: agosto 2012

5 agosto 2012 – Pax vobiscum

Indice delle puntate precedenti di Sul retro del Teatro Massimo di Palermo

Il capitano Catania ricevette sulla linea diretta la telefonata del reverendo priore dei cappuccini di ***.

Si raddrizzò di scatto sulla sedia e disse: «Comandi, Signor Generale.» Ascoltò con attenzione la cortesissima richiesta che gli venne fatta; terminò la telefonata con un: «Sempre agli ordini.» Si rilassò sulla sedia e pensò a cosa avrebbe fatto lui, il giorno in cui fosse andato in congedo.

Poi fece chiamare il brigadiere Pautasso e l’appuntato Pellegrino.

Una volta tanto i due compari avevano la coscienza pulita: non avevano ficcato il naso in indagini che non li riguardavano da almeno due settimane.

«Ho bisogno di chiedervi un favore.» Orbene, un capitano dei carabinieri, anche se è un ufficiale educato e rispettoso dei propri sottoposti come Catania, di solito, non chiede favori: se proprio è necessario, si limita ad invocare le ragioni di servizio e dà degli ordini; i due amici incominciarono a preoccuparsi.

«È una cosa personale, non di servizio. Ho bisogno che domani mattina, è domenica e non siete di servizio, vi rechiate al convento dei cappuccini di ***, ritiriate un pacchetto e lo portiate all’arcivescovado. Potete?».

Ad una richiesta così cortese non è pensabile opporre rifiuti e comunque Pautasso e Pellegrino avevano troppe cosette da farsi perdonare dal capitano, quindi dissero in coro: «Signorsì, Signor Capitano».

«Vi metterete in borghese e vi mescolerete ai turisti in gita; sarebbe meglio se portaste con voi la tua fidanzata, Pautasso, e tua moglie, Pellegrino, aiuterebbe a non dare nell’occhio. Pensate possano venire e sappiano tenere riservata la cosa?».

«Maria sicuramente sì, volevamo fare una gita. Purché torniamo nel primo pomeriggio: è di turno in ospedale.» Rispose Pautasso.

«Sasà ha il morbillo, Signor Capitano, non posso chiedere a mia moglie di venire.» Disse l’altro.

«Fra le tue tante cugine e nipoti, Pellegrino, non ne hai una dell’età giusta da far passare per la tua fidanzata, che possa venire e soprattutto che sappia tenere la bocca chiusa, se vi vede tornare con un pacchetto?».

«Posso chiedere alla figlia di mio fratello Salvatore, ha ventidue anni e si sta laureando in matematica. Se permette, vado a telefonarle per chiederglielo».

Catania e Pautasso rimasero soli nell’ufficio del comandante. Il brigadiere ne approfittò per far cadere lì, come se niente fosse: «Sarà anche un’occasione per girare disarmati, a volte mi sembra di essere ancora in Kosovo.» A forza di frequentare gli indigeni, anche il bravo piemontese aveva imparato a dire una cosa per significarne un’altra.

«E quando mai un carabiniere gira senza la sua arma, Pautasso? Comunque, se vuoi sapere se le signore corrono dei rischi, posso risponderti di no: se non ne fossi sicuro non vi avrei chiesto di portarle con voi. Dovete però raccomandare loro di non raccontare in giro i dettagli della gita. Puoi fidarti di Maria?».

«Signorsì, finirà che dovrò proprio decidermi a chiederle di sposarmi, ma tanto lo volevo fare uno di questi giorni».

Pellegrino confermò che la nipote Concettina era felice di fare una gita con lo zio e che era stufa di restare in casa a studiare.

«Dì un po’, Pellegrino, Concetta tua zia, Concetta tua nipote: quante Concette avete in famiglia?» Chiese ridendo Pautasso, quando furono fuori dell’ufficio del capitano.

«Quindici, no sedici, l’ultima l’abbiamo battezzata la settimana scorsa. Cettina è il genio di famiglia: tutta trenta e lode, si sta laureando in matematica con una tesi sulle stringhe».

«E che c’entrano le scarpe con la matematica?».

«Ho detto stringhe, non scarpe: una cosa complicatissima pare. E poi cosa vuoi che ne sappia io di matematica, era festa grande in casa quando mi davano quattro di matematica, una volta ho preso meno undici».

A suo tempo Pautasso, di matematica, viaggiava addirittura sul sei e mezzo, ma non gli sembrò il caso di infierire sull’amico. Il mattino dopo, però, guardò per bene il genio con gli occhioni neri e sperò che Maria non diventasse gelosa; per fortuna le due ragazze fecero subito amicizia e la gita sino al famoso convento fra le colline fu una bella passeggiata estiva, non faceva nemmeno un caldo insopportabile.

Come da ordini entrarono mescolati ai turisti, Pautasso consegnò la busta datagli da Catania ad uno dei frati e dopo dieci minuti vennero invitati a recarsi nello studio del priore; le due ragazze restarono in una specie di anticamera o sacrestia ad ammirare dei mobili barocchi che avrebbero fatto la fortuna di un museo.

Il priore non era solo: seduto ad un ampio tavolo, gemello di quello della sacrestia, c’era un frate vecchissimo. Se aveva meno di novanta, novantacinque anni voleva dire che li portava proprio male, ma più probabilmente aveva abbondantemente passato i cento: la barba lunga sino alla vita e i capelli bianchissimi, la carnagione scura, gli occhi ancora vivacissimi e scintillanti: nell’insieme l’aspetto di un saraceno, come quei mullah che a volte si vedono in televisione. Teneva una mano magrissima, addirittura scarna, posata su di un pacchetto delle dimensioni di un grosso libro, avvolto in tela come quella delle tonache dei frati, legato a spago doppio e ricoperto di bolli di ceralacca. I due carabinieri si sentirono più intimiditi dalla vista del vecchio che dallo sguardo severo dell’altro cappuccino.

Il priore si avvicinò al pacchetto ma il vegliardo non spostò la mano. «Fra Gerardo, vi rammento il vostro voto.» Disse con voce ferma il priore.

«Avete ragione, è giunta l’ora.» Il vecchio si alzò, fece una leggera carezza con la punta delle dita al pacchetto e aggiunse: «Pax vobiscum», non si capì se diretto all’involto o ai due carabinieri, che guardavano la scena facendo finta di non essere stupefatti.

«Consegnerete questo involto al segretario di Sua Eminenza: vi sta aspettando.» Disse il priore una volta rimasti soli. Stette in silenzio per qualche minuto, guardandoli con occhi tanto severi da sembrare feroci, e aggiunse: «Sono sicuro che sapete obbedir tacendo. Metterete il pacchetto in questa busta di carta, è di quelle che usiamo per vendere ai turisti i ricordi del convento: servirà a mimetizzarlo quando uscite. Ringraziate il Capitano Catania da parte mia».

«Comandi, signorsì!» Non lo fecero apposta, scappò loro di bocca, ma non ebbero l’impressione di essersi sbagliati, nemmeno quando il cappuccino li benedisse – loro o il pacchetto? – con un segno di croce.

Il viaggio di ritorno fu stranamente silenzioso, ma la giornata era splendida, il paesaggio estivo meraviglioso e quando lasciarono a casa le ragazze tutti erano di buon umore. I due carabinieri furono ancora più di buon umore dopo aver consegnato il loro carico all’arcivescovado ed aver telefonato al capitano, per annunciare la missione compiuta e trasmettere i ringraziamenti del priore.

Il mattino dopo, tanto per cambiare, erano di turno all’alba.

«Ma lo sai, Pautasso, che cosa ha fatto il vecchio frate?».

«Quale dei due? il priore o l’altro?».

«Quello con la barba sino alle ginocchia, Fra Gerardo: ha corretto la tesi di Concettina».

«Come la tesi? che c’entra la tesi?».

«Concettina si porta sempre dietro le bozze nella borsa, ci lavora da più di un anno e le studia in continuazione, la prendiamo anche in giro in famiglia. Ieri aveva avuto un’idea, aveva tirato fuori il pacco dei fogli e se li stava guardando sul tavolone della sacrestia. Dice che è uscito un frate vecchissimo con la barba, ha dato passando uno sguardo distratto ai fogli, le ha tolto di mano la biro e ha cominciato a correggerli: cancellava un pezzo qua e scriveva una formula là, girava la pagina e correggeva qualcosa; dice che tac, tac, tac, nei cinque minuti che abbiamo passato col priore, se l’è corretta tutta. Dice che era piena di errori, niente di grave, ma che adesso è proprio giusta e la può portare al relatore. Ma tu hai idea di chi è quel frate?».

«E come faccio a saperlo? I conventi sono pieni di gente strana: sembra che da qualche parte ci sia persino un generale dei carabinieri».

 

Scusatemi, avevo finito di raccontare e stavo uscendo, ma vedo che si sono alzate delle mani – poche per fortuna – cosa volete sapere? Chi è lo stramaledettissimo frate barbuto? Perbacco, signori, un po’ di rispetto. È un personaggio importante, dovreste conoscerlo. E poi proprio oggi è il suo centoseiesimo compleanno…

Va bene, facciamo finta di essere in televisione, vi darò un aiutino: se proprio non lo riconoscete, cercate su Google “vivacissimi e scintillanti: nell’insieme l’aspetto di un saraceno” e lo trovate subito.

Indice delle puntate precedenti

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