Intrigo siculo-giapponese
Indice delle puntate precedenti di Sul retro del Teatro Massimo di Palermo
Miss Violet O’Hara era venuta al comando per formalizzare fra le lacrime la denuncia e firmare la sua deposizione.
Che fosse irlandese lo provavano il suo cognome, i suoi documenti ed una chioma di capelli rossi che avrebbe fatto invidia a quella della quasi omonima Maureen O’Hara. Aveva anche un bel viso, un po’ irregolare ma interessante; qualcuno avrebbe potuto considerarla una bella ragazza. O meglio: un paio molto abbondante di belle ragazze.
Era la donna più grossa che Pautasso e Pellegrino avessero mai visto. Non la più grassa, Pautasso ricordava una salumaia torinese che probabilmente pesava di più e anche alcune siciliane conosciute da Pellegrino in quanto a ciccia non scherzavano. Questa donna era gigantesca: quasi due metri di statura e dei muscoli spropositati che la pur abbondante adipe non riusciva a nascondere, doveva pesare almeno centosessanta chili. I due carabinieri ricordavano solo un’altra persona ancora più imponente: un capoclan kosovaro che teneva in riga la sua turbolenta tribù a suon di sberloni; il colosso doveva avere parecchi peccatucci di sangue sulla coscienza, ma era anche lo zio del bambino che i nostri eroi avevano salvato dal campo minato rischiando la pelle, si era quindi comportato con i soldati italiani della forza di pace con tutta la cortesia e la collaborazione che la gratitudine tribale imponeva.
Le misure della donna erano rese ancora più evidenti dal vestito che indossava: una specie di kimono blu elettrico decorato a peonie gialle, abbigliamento che del resto si addiceva perfettamente alla sua attività di lottatrice professionista di Sumo.
«Ma il Sumo non è uno sport solo maschile?» Chiese Pautasso che, avendo fatto un po’ di arti marziali da ragazzo, se ne intendeva abbastanza.
«Secondo la tradizione giapponese, sì,» rispose l’uomo che traduceva le parole della gigantessa e che si era qualificato come il suo impresario, «ma da quando questo sport ha cominciato a diffondersi nel resto del mondo, ne esiste anche una versione femminile con tornei e campionati. Ho portato la squadra a Palermo per far conoscere ai miei concittadini questa nobile e antichissima arte marziale e…».
«Scusi, cosa intende per squadra?» Intervenne Pellegrino.
«Temo di non essermi presentato adeguatamente,» riprese l’uomo, tirando fuori dal portafoglio un biglietto di visita coloratissimo, «mi chiamo Lombardo Gasparo e sono il presidente e amministratore della Sumo Stars, società di arti marziali professionali, che ho portato a Palermo per uno spettacolo dimostrativo, avrei dovuto essere più chiaro ma la brutale e vergognosa aggressione subita da Violet mi ha sconvolto…».
Pautasso e Pellegrino riuscirono a trattenere un sogghigno: alla faccia della brutale e vergognosa aggressione. Ecco come gli eventi erano stati narrati dagli spettatori, i quali si erano tanto divertiti da rinunciare alla tradizionale reticenza sicula ed avevano raccontato tutto con dovizia di particolari.
Due balordi su di una moto di grossa cilindrata – ovviamente poi risultata rubata – avevano cercato di scippare in mezzo alla folla quella turista dai capelli rossi, grossa come una montagna e vestita come un negozio di fioraio; la gigantessa aveva fatto resistenza e tenuto ben stretta la borsa, con il risultato che i due ladruncoli erano stati letteralmente sfilati via da sopra la moto. Moto che aveva proseguito la sua corsa da sola, andando a sfondare la vetrina di un negozio di casalinghi sull’altro lato della strada e facendo uno sfracello di piatti e bicchieri, fra le urla dell’avarissima proprietaria, donna antipaticissima ed esosa che stava notoriamente sulle corna al resto degli abitanti del rione.
Già questo sarebbe stato un bello spettacolo da raccontare ai bambini una volta tornati a casa, ma il massimo dello spasso era stato provocato dal fatto che i due scervellati avevano tirato fuori i coltelli e avevano non solo minacciato la cicciona per farsi consegnare la borsetta – grossa come una valigia – ma anche tentato di accoltellarla, procurandole un paio di netti tagli nel kimono. Un vero e proprio “o la borsa o la vita” che stava per costare molto caro ai due sconsiderati che solo l’arrivo dei fratelli Branca, richiamati dal fracasso, aveva salvato dal fare una brutta fine.
Pautasso e Pellegrino erano riusciti con una certa fatica a tirar via dalle tenere manine della mancata vittima quello che aveva guidato la motocicletta. La gigantessa lo aveva acchiappato per il bavero, sollevato come un bambolotto, sbattuto contro un muro e accuratamente e ripetutamente schiaffeggiato andata e ritorno: nonostante il casco – volato via alla prima sberla – mandibola fratturata in tre punti e commozione cerebrale, avevano decretato al pronto soccorso. E l’altro? L’altro stava sotto i piedi della lottatrice che aveva scelto quel modo per tenerlo fermo: cinque o sei costole rotte e svariate lesioni interne.
Se non fosse stato chiaro che si era trattato di legittima difesa, Miss O’Hara avrebbe avuto un sacco di grane con la legge, ma così…
«La squadra è composta da quattro atlete,» continuò il signor Lombardo, «Violet è irlandese, due sono tedesche e la quarta è olandese, abbiamo la sede ad Amsterdam e partecipiamo a competizioni e dimostrazioni in tutto il Nord Europa. Io sono di Palermo, anche se sono emigrato in Olanda quasi vent’anni fa, e ho voluto far vedere ai miei concittadini questo nobile sport…».
«Nella borsa della signorina, c’era qualcosa di valore? denaro, documenti…» Chiese Pautasso.
«I soldi per il viaggio e i biglietti aerei per il ritorno, non mi sono fidato a lasciarli nella pensione dove siamo scesi e li ho affidati a Violet perché li custodisse lei…».
«Era una grossa somma?».
«Ma no, poco più di un migliaio di euro e abbiamo prenotato il volo andata e ritorno con Ryan Air, non faccio fatica a confessarle che le finanze della società non sono molto floride, anche se in nord Europa c’è interesse per questa nobile arte marziale gli incassi bastano appena a coprire le spese… speravo di riuscire ad organizzare qualche bell’incontro dimostrativo qui a Palermo, avevo avuto delle promesse da uno dei palazzetti dello sport qui in città, ma adesso sembra che gli impianti non siano più disponibili e sono molto preoccupato…».
Ma figuratevi se gli impianti non erano più disponibili: il signor Lombardo Gasparo poté scegliere con chi fare affari. Con tutta la pubblicità che c’era stata, le esibizioni di sumo femminile riempirono di pubblico per tre serate un palazzetto molto più capiente e prestigioso di quello originariamente previsto e ci fu un supplemento di due serate a Catania. Le quattro gigantesse, arbitrate da Lombardo travestito da giapponese con tanto di tradizionale ventaglio, ed abbigliate secondo le usanze di quel nobile sport – vabbè, rispetto ai colleghi maschi le ragazze indossavano una maglietta supplementare, destinata a far finta di nascondere le immense rotondità superiori – ottennero un successo strepitoso ed il loro manager non dovette di certo lamentarsi degli incassi, quando pochi giorni dopo ripartirono per l’Olanda.
Pautasso era andato a prendere Maria che finiva il turno in ospedale, non era orario di visite ma tutti ad Urologia Maschile ormai lo conoscevano benissimo e lo salutavano calorosamente.
Lo salutò con voce fioca anche uno dei ricoverati: «Buona sera, Brigadiere».
Il bravo piemontese ci mise qualche secondo a riconoscere nella figura dal torace rigidamente fasciato uno degli arrestati di due settimane prima.
«Ma tu non dovresti essere ricoverato nel reparto giudiziario?».
«Non avevano più posto e mi hanno dato i domiciliari qui a urologia, tanto con le costole rotte, le flebo e il catetere di qui non posso scappare, la cicciona mi ha fatto quasi scoppiare la vescica quando ci ha messo sopra i piedi».
«Bisogna dire che tu e il tuo compare ve la siete proprio cercata, ce n’hai ancora per molto?».
«Le costole fanno ancora male ma guariranno presto, però i dottori dicono che ci vorranno molte settimane prima che possa tornare a pisciare normalmente e sino ad allora mi devo tenere questo accidente di catetere. C’è un’infermiera che ha una mano delicatissima quando me lo cambia… mi hanno detto che è la tua ragazza, Brigadiere».
«È la mia fidanzata e guarda che posso essere geloso come un siciliano anche se sono piemontese…».
«Lo dicevo con rispetto, gli altri infermieri sembra che me la vogliano staccare la minchia quando… Senti, piemontese, se ti dico una cosa che non posso dirti, tu mi prometti che dopo te ne dimentichi?».
Il brigadiere Secondo Pautasso, nativo di Moncalieri, si sentì professionalmente arrivato: quel tipo di confidenze di solito le facevano al suo amico Pellegrino per una sorta di sicula complicità, a lui non era ancora capitato da quando lo avevano trasferito a Palermo.
«Se non è cosa troppo grossa…».
«Ci ho pensato sopra per due settimane e ho capito che ci hanno fatti fessi, a me e a Vicenzo. Ci hanno dato cento euri a testa per scippare la borsetta a una cicciona vestita a fiori, doveva essere un lavoretto da niente e invece…».
«E naturalmente non puoi dirmi chi ti ha dato l’incarico».
«Ecche sono fesso per davvero? Diciamo che era uno che doveva fare un favore ad un amico che non vedeva da vent’anni, nella borsetta c’erano dei documenti che servivano all’amico, dovevamo portargliela a tutti i costi, mica ci avevano detto che dovevamo rapinare un elefante…».
La serata con Maria riuscì benissimo.
Il giorno dopo, durante il servizio di pattuglia, Pautasso si confidò con Pellegrino, la promessa di dimenticarsi della cosa naturalmente con lui non valeva.
L’appuntato rimase pensieroso.
«Secondo te, la cicciona lo sapeva che si trattava di una finta?».
«Una finta mica tanto, quei due hanno tirato fuori i coltelli pensando di spaventarla e a momenti si facevano ammazzare… e comunque l’hanno spaventata per davvero, ti ricordi come piangeva quando l’abbiamo interrogata al comando, se stava fingendo allora ha sbagliato mestiere, doveva fare l’attrice, roba che nemmeno Greta Garbo…».
Pellegrino ridivenne pensieroso.
«E adesso cosa facciamo?».
«Cosa vuoi che facciamo, niente facciamo. Quei due non apriranno bocca, faranno finta di niente per non mettersi in guai più grossi e patteggeranno al processo per un semplice tentativo di scippo, tanto la lottatrice e il suo manager non verranno di certo a testimoniare perché sono in Olanda e poi con il patteggiamento basta la deposizione che hanno firmato…».
«Allora ci hanno fatto fessi pure noi».
«Non è detto…».
«A cosa stai pensando?».
«Pensavo che non vorrei essere nei panni del signor Lombardo Gasparo, se la signorina Violet O’Hara ricevesse una bella lettera anonima da Palermo che la informa sul perché e percome della sua aggressione, il suo indirizzo in Olanda lo abbiamo e quattro righe in inglese riesco a scriverle anch’io…».
«Dici che in Olanda sono bravi a metterlo il catetere…».
«Useranno dei gambi di tulipano, immagino…».
Indice delle puntate precedenti